di Alberto
Carrara, LC
Quando si parla di emozioni e cervello, balzano
alla mente alcune parole chiave, come, ad esempio, amigdala, sistema di
gratificazione, sistema limbico, etc. ma è strano sentir parlare di emozioni e geni! Cosa c’entra la genetica con quello che provo emotivamente?
Un recente studio pubblicato sul The Journal of Neuroscience ed intitolato
Neurogenetic Variations in
Norepinephrine Availability Enhance Perceptual Vividness getta più luce su
un settore particolare all’interno di di
quello che è stato definito Neurogenomics (Nature Neuroscience 17, n. 6, 2014).
Gli autori della ricerca, Rebecca M.
Todd, Mana R. Ehlers, Daniel J. Müller, Amanda Robertson, Daniela J. Palombo,
Natalie Freeman, Brian Levine e Adam K. Anderson, affermano nel loro studio l’influsso
genetico sulla strutturazione del nostro cervello nell’ambito della sua
responsività alle informazioni di ordine “emotivo”.
I nostri geni, infatti, giocano un ruolo
importante anche nel modulare l’impatto che eventi di carattere emotivo, o
interpretati tali, hanno nei nostri confronti. Portatori di particolari
polimorfismi genetici possono percepire più o meno intensamente immagini
positive e negative. Questa percezione è stata correlata a specifiche aree
cerebrali. Si parla di una vera e propria “vivacità
emozionalmente potenziata” o, in lingua inglese, emotionally enhanced vividness (EEV).
Lo studio segnala, in parallelo, meglio,
in maniera complementaria alla nota modulazione dell’amigdala nei confronti della corteccia preforntale ventromediale
(VMPFC), un sistema o via VMPFC aggiuntiva (da caratterizzare meglio), che
possa rendere ragione del potenziamento relativo ad una vivacità della
percezione emotiva che sperimentano soggetti portatori di una variante di delezione
genetica coinvolgente il gene ADRA2b che codifica per l’adrenorecettore α2b.
Questa variante neurogenetica associata
alla molecola norepinefrina, potenzia la vivacità dell’esperienza percettiva e
del correlativo “carico emozionale”.
Notevoli sono le possibili implicazioni e riflessioni neurobioetiche in materia.
Si può leggere l’abstract dell’articolo QUI. Una sintesi e un’intervista ad
alcuni dei ricercatori dello studio è disponibile sul portale Neuroscience News.com.
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