lunedì 11 maggio 2015

Vivacità emozionalmente potenziata

di Alberto Carrara, LC

Quando si parla di emozioni e cervello, balzano alla mente alcune parole chiave, come, ad esempio, amigdala, sistema di gratificazione, sistema limbico, etc. ma è strano sentir parlare di emozioni e geni! Cosa c’entra la genetica con quello che provo emotivamente?

Un recente studio pubblicato sul The Journal of Neuroscience ed intitolato Neurogenetic Variations in Norepinephrine Availability Enhance Perceptual Vividness getta più luce su un settore particolare all’interno di di quello che è stato definito Neurogenomics (Nature Neuroscience 17, n. 6, 2014).

Gli autori della ricerca, Rebecca M. Todd, Mana R. Ehlers, Daniel J. Müller, Amanda Robertson, Daniela J. Palombo, Natalie Freeman, Brian Levine e Adam K. Anderson, affermano nel loro studio l’influsso genetico sulla strutturazione del nostro cervello nell’ambito della sua responsività alle informazioni di ordine “emotivo”.

I nostri geni, infatti, giocano un ruolo importante anche nel modulare l’impatto che eventi di carattere emotivo, o interpretati tali, hanno nei nostri confronti. Portatori di particolari polimorfismi genetici possono percepire più o meno intensamente immagini positive e negative. Questa percezione è stata correlata a specifiche aree cerebrali. Si parla di una vera e propria “vivacità emozionalmente potenziata” o, in lingua inglese, emotionally enhanced vividness (EEV).


Lo studio segnala, in parallelo, meglio, in maniera complementaria alla nota modulazione dell’amigdala nei confronti della corteccia preforntale ventromediale (VMPFC), un sistema o via VMPFC aggiuntiva (da caratterizzare meglio), che possa rendere ragione del potenziamento relativo ad una vivacità della percezione emotiva che sperimentano soggetti portatori di una variante di delezione genetica coinvolgente il gene ADRA2b che codifica per l’adrenorecettore α2b.

Questa variante neurogenetica associata alla molecola norepinefrina, potenzia la vivacità dell’esperienza percettiva e del correlativo “carico emozionale”.

Notevoli sono le possibili implicazioni e riflessioni neurobioetiche in materia.


Si può leggere l’abstract dell’articolo QUI. Una sintesi e un’intervista ad alcuni dei ricercatori dello studio è disponibile sul portale Neuroscience News.com

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