venerdì 8 febbraio 2019

Roboetica: robotica, riabilitazione, personalizzazione e rieducazione del corpo e della mente. Report e foto


Terzo seminario “Corso di Perfezionamento in RoboEtica” del Gruppo di Ricerca in Neurobioetica. “Roboetica: robotica, riabilitazione, personalizzazione e rieducazione del corpo e della mente” 14 dicembre 2018

di Giulia Bovassi. Abstract. Affrontare il tema della robotica è oramai un’esigenza non procrastinabile dal momento che, in particolar modo negli ultimi tempi, una rapida accelerazione ha costretto questo face to face ravvicinato tra ingegneria robotica e realtà umana. La disamina tecnica offerta dagli esperti prepara concettualmente al rimbalzo etico e personale messo in evidenza anche dalla preziosa testimonianza di Carmine Consalvi. 

Questo terzo pomeriggio, trascorso all’insegna dell’interazione fra diverse forme di sapere specializzate, ha calato indubbiamente la teoria nella praxis, non solo mediante gli interventi del dott. Giovanni Morone e del collega, il dott. Marco Iosa, ma altresì dalla vigorosa nota autobiografica del giovane Carmine Consalvi, 31 anni, la cui storia legata all’applicazione dell’esoscheletro in ambito riabilitativo. 

Come paziente, Carmine ha riportato al cuore delle ricerche condotte fino ad ora, un fatto importante, facile al rischio di sfuggire quando ci si addentra concettualmente nelle problematiche bioetiche, condotte entro i vari modelli in auge: la persona umana. Il prof. Claudio Bonito, membro del GdN e coordinatore del sottogruppo di ricerca sul “Postumanesimo”, introducendo quest’ultimo intervento, conclusivo della sessione pomeridiana, contestualizza il fare con l’agire: il quadro d’azione si adopera su nuove realtà in movimento. Quell’uomo vitruviano a cui l’umanesimo si è rifatto per anni, viene sfidato dal fare esterno, prodotto dell’uomo, artificio della mente creatrice, che rischia di esaurirsi riduttivamente in se stesso, occultando la destinazione ultima di un fare che si rende azione, quindi l’essere umano. Qui subentra l’empatia. Qui giunge il messaggio di Carmine: l’invenzione è soccorsa in mio aiuto dandomi fisicamente, psicologicamente e umanamente forze nuove, mosse dalla grinta scaturita nel riuscire ex novo a rapportarmi con qualcuno guardandolo negli occhi, cosa che la visuale a ritroso, dal basso verso l’altro, della carrozzina era venuta a mancare. 

Sei anni fa quell’incidente stradale, trauma che ha condizionato drasticamente la sua vita e le sue abitudini causandogli la mancanza di movimenti residui volontari, togliendo il controllo completo del tronco; aspetti ai quali Carmine si sentì chiamato in una risposta riabilitativa fisica ed esistenziale. Dopo essere venuto a conoscenza dell’esoscheletro decide di tentare anzitutto per testare se l’innovazione fosse pronta a lui, affermazione apparentemente paradossale poiché saremmo portati piuttosto ad affermare una direzione opposta, dal paziente verso la terapia. Come, a più riprese, sottolineato per voce dei vari relatori, il feedback del paziente giace sull’adattabilità del robot alla sua predisposizione psicologica, oltre che fisica. Il dispositivo si applica quando glielo si lascia fare; in tal senso Carmine parlava di reazione soggettiva, non standardizzata, a questo tipo di tecnologia, dove un ruolo non marginale nel suo caso è stato giocato proprio da temerarietà, costanza e forza di volontà. 

Chiusura in linea con l’apertura del seminario condotta dal dott. Giovanni Morone, “Robot giusto per la persona giusta nel momento giusto: stato dell’arte, prospettive future sull’utilizzo dei robot in neuroriabilitazione”, il quale ha accompagnato la riflessione attraverso il lavoro svolto all’IRCCS Santa Lucia, dove si occupano di nuove tecnologie utilizzate nella neuroriabilitazione. Applicazioni complesse sotto molteplici punti di vista, dai costi alle tempistiche riabilitative molto più lunghe, fino all’efficacia stessa; fattori assunti da una parte di esperti e ricercatori con estremo scetticismo e dall’altra con eccessivo ottimismo, duplice modalità che ha reso non sempre lineare il rapporto tra terapia e tecnologia -come spiegato dal Professore. Il quesito fondamentale riproposto dal dott. Morone pervasivo in tutta la pratica neuro-riabilitativa, allora, è: «nel momento in cui dobbiamo spingere al massimo la capacità neuro-plastica (specialmente in pazienti affetti da ictus) per recupero, funzionalità e abilità, durante il ricovero, è stato fornito uno stimolo sufficiente ai pazienti per il recupero?», questo perché, ribadiamo, il contatto è delicato e personale, bisognoso di continui equilibri nel dosaggio impartito. 

Ecco allora che ritorna l’esempio incarnato da Carmine stesso, seppur con situazioni cliniche differenti: conoscere quali pazienti possono beneficiare della robotica terapeutica, perciò da un generico interrogativo «è efficace in generale questo robot?» slittare a «per chi è efficace questo robot?»; cambiare la domanda poiché è cambiato il focus. All’interno del loro gruppo di ricerca, un team di specialisti, per circa dieci anni di osservazione, ha sormontato la possibilità pratica con il singolo paziente, preso nella sua complessità constatando come la resistenza fosse sedimentata in maniera massiccia in persone psicologicamente provate da stati di ansia o stress, turbate emotivamente dall’elemento robotico. Cercare forza propulsiva nella plasticità cerebrale è un motore funzionante, faticoso ma attivo, dal quale si apprende anzitutto che non può esservi un “qualsiasi paziente” per “qualunque robot”, affinché i principi neuro-riabilitativi possano trovare facilitazione o incremento grazie al supplemento robotico. 

“L’etica dei robot riabilitativi. Le tre leggi della neurorobotica”, con palese rimando a I. Asimov, nelle tre leggi della robotica e alla cinematografia esplicativa di riferimento, quale “Io Robot” ad esempio, il dott. Marco Iosa, per incrementare la profondità argomentativa, già precedentemente raggiunta, su cosa si intende con robot, quindi “robota” secondo l’accezione servile, etimologicamente derivata, del termine. Il Prof. Iosa esclude che siano da compiersi i medesimi ragionamenti per il robot antropomorfo o meccanico in senso stresso e il cosiddetto “robot” della domotica, ad uso comune. I robot -ripercorrendo la riflessione dell’ospite- sono ideati per tre tipologie di lavoro: quello sporco, quello noioso e quello pericoloso. Nel caso della riabilitazione o, genericamente, in medicina c’è bisogno dell’adattabilità con ciò che il paziente vuole fare o sente di poter fare, seguendo un iter ben diverso da quello di norma percorso dalla farmacovigilanza. Si potrebbero, quindi, delineare tre moderne leggi della robotica in campo sanitario: 1) un robot per la neuroriabilitazione non può recare danno ad un paziente o permettere che un paziente abbia un danno; 2) un robot deve obbedire agli ordini impartiti dai terapeuti, purché tali ordini non contravvengano alla Prima Legge; 3) un robot deve adattare il suo funzionamento alle abilità del paziente in modo trasparente purché ciò non contrasti con le prime due Leggi. Struttura inficiata dalla difficoltà del “Paradosso dell’efficacia”, ovvero come poter beneficiare di un criterio efficacia-rischio comprovato, se la peculiarità della robotica consiste nella particolarità specifica di ogni paziente verso lo strumento. L’escamotage risolutivo si ha cambiando la richiesta, chiedendosi cioè per chi è efficace (come già detto il soggetto ansioso, se posto a scegliere tra robot e fisioterapista, opterà per il secondo), quale paziente possiede gli strumenti per riporvi fiducia. 

Riprendendo la felice espressione del Professore, «il robot è come l’invenzione della macchina; risponde alla domanda: cosa non riesci a fare per il paziente?», calpestiamo il limite non solo tra efficacia e rischio, ma tra terapeutico e potenziativo, messo in evidenza dalle prestazioni compiute con stimolazione cerebrale, elettrica o magnetica. Quale finalità e quale distinguo fra ciò che è terapeuticamente benefico e quanto invece supplemento migliorativo? Nell’incremento, quale sarà il limite decifrabile qualora venissero prescritti trattamenti per sopperire a difficoltà di apprendimento o atletiche, la gestione emotiva o traumatica in ambito militare, ecc..? Innumerevoli esempi per un’unica macro-domanda etica: tutto ciò che è tecnicamente possibile è anche moralmente lecito? Qui si ferma l’attenzione; si blocca pensando al tipo di aiuto effettivo di competenza medica da proporsi come terapeutico. In sostanza: come porsi, essenzialmente, al vero servizio della persona. 

Vedi il seminario:


Nessun commento:

Posta un commento