Terzo
seminario “Corso di Perfezionamento in RoboEtica” del Gruppo di Ricerca in
Neurobioetica. “Roboetica: robotica, riabilitazione, personalizzazione e
rieducazione del corpo e della mente” 14 dicembre 2018
di Giulia
Bovassi. Abstract. Affrontare il tema della robotica è oramai un’esigenza non
procrastinabile dal momento che, in particolar modo negli ultimi tempi, una
rapida accelerazione ha costretto questo face to face ravvicinato tra
ingegneria robotica e realtà umana. La disamina tecnica offerta dagli esperti
prepara concettualmente al rimbalzo etico e personale messo in evidenza anche
dalla preziosa testimonianza di Carmine Consalvi.
Questo terzo pomeriggio,
trascorso all’insegna dell’interazione fra diverse forme di sapere specializzate,
ha calato indubbiamente la teoria nella praxis, non solo mediante gli
interventi del dott. Giovanni Morone e del collega, il dott. Marco Iosa, ma
altresì dalla vigorosa nota autobiografica del giovane Carmine Consalvi, 31
anni, la cui storia legata all’applicazione dell’esoscheletro in ambito
riabilitativo.
Come paziente, Carmine ha riportato al cuore delle ricerche
condotte fino ad ora, un fatto importante, facile al rischio di sfuggire quando
ci si addentra concettualmente nelle problematiche bioetiche, condotte entro i
vari modelli in auge: la persona umana. Il prof. Claudio Bonito, membro del GdN
e coordinatore del sottogruppo di ricerca sul “Postumanesimo”, introducendo
quest’ultimo intervento, conclusivo della sessione pomeridiana, contestualizza
il fare con l’agire: il quadro d’azione si adopera su nuove realtà in
movimento. Quell’uomo vitruviano a cui l’umanesimo si è rifatto per anni, viene
sfidato dal fare esterno, prodotto dell’uomo, artificio della mente creatrice,
che rischia di esaurirsi riduttivamente in se stesso, occultando la
destinazione ultima di un fare che si rende azione, quindi l’essere umano. Qui
subentra l’empatia. Qui giunge il messaggio di Carmine: l’invenzione è soccorsa
in mio aiuto dandomi fisicamente, psicologicamente e umanamente forze nuove,
mosse dalla grinta scaturita nel riuscire ex novo a rapportarmi con qualcuno
guardandolo negli occhi, cosa che la visuale a ritroso, dal basso verso
l’altro, della carrozzina era venuta a mancare.
Sei anni fa quell’incidente
stradale, trauma che ha condizionato drasticamente la sua vita e le sue
abitudini causandogli la mancanza di movimenti residui volontari, togliendo il
controllo completo del tronco; aspetti ai quali Carmine si sentì chiamato in
una risposta riabilitativa fisica ed esistenziale. Dopo essere venuto a
conoscenza dell’esoscheletro decide di tentare anzitutto per testare se
l’innovazione fosse pronta a lui, affermazione apparentemente paradossale
poiché saremmo portati piuttosto ad affermare una direzione opposta, dal paziente
verso la terapia. Come, a più riprese, sottolineato per voce dei vari relatori,
il feedback del paziente giace sull’adattabilità del robot alla sua
predisposizione psicologica, oltre che fisica. Il dispositivo si applica quando
glielo si lascia fare; in tal senso Carmine parlava di reazione soggettiva, non
standardizzata, a questo tipo di tecnologia, dove un ruolo non marginale nel
suo caso è stato giocato proprio da temerarietà, costanza e forza di volontà.
Chiusura in linea con l’apertura del seminario condotta dal dott. Giovanni
Morone, “Robot giusto per la persona giusta nel momento giusto: stato
dell’arte, prospettive future sull’utilizzo dei robot in neuroriabilitazione”,
il quale ha accompagnato la riflessione attraverso il lavoro svolto all’IRCCS
Santa Lucia, dove si occupano di nuove tecnologie utilizzate nella
neuroriabilitazione. Applicazioni complesse sotto molteplici punti di vista,
dai costi alle tempistiche riabilitative molto più lunghe, fino all’efficacia
stessa; fattori assunti da una parte di esperti e ricercatori con estremo
scetticismo e dall’altra con eccessivo ottimismo, duplice modalità che ha reso
non sempre lineare il rapporto tra terapia e tecnologia -come spiegato dal
Professore. Il quesito fondamentale riproposto dal dott. Morone pervasivo in
tutta la pratica neuro-riabilitativa, allora, è: «nel momento in cui dobbiamo
spingere al massimo la capacità neuro-plastica (specialmente in pazienti
affetti da ictus) per recupero, funzionalità e abilità, durante il ricovero, è
stato fornito uno stimolo sufficiente ai pazienti per il recupero?», questo
perché, ribadiamo, il contatto è delicato e personale, bisognoso di continui
equilibri nel dosaggio impartito.
Ecco allora che ritorna l’esempio incarnato
da Carmine stesso, seppur con situazioni cliniche differenti: conoscere quali
pazienti possono beneficiare della robotica terapeutica, perciò da un generico
interrogativo «è efficace in generale questo robot?» slittare a «per chi è
efficace questo robot?»; cambiare la domanda poiché è cambiato il focus.
All’interno del loro gruppo di ricerca, un team di specialisti, per circa dieci
anni di osservazione, ha sormontato la possibilità pratica con il singolo
paziente, preso nella sua complessità constatando come la resistenza fosse
sedimentata in maniera massiccia in persone psicologicamente provate da stati
di ansia o stress, turbate emotivamente dall’elemento robotico. Cercare forza
propulsiva nella plasticità cerebrale è un motore funzionante, faticoso ma
attivo, dal quale si apprende anzitutto che non può esservi un “qualsiasi
paziente” per “qualunque robot”, affinché i principi neuro-riabilitativi
possano trovare facilitazione o incremento grazie al supplemento robotico.
“L’etica dei robot riabilitativi. Le tre leggi della neurorobotica”, con palese
rimando a I. Asimov, nelle tre leggi della robotica e alla cinematografia
esplicativa di riferimento, quale “Io Robot” ad esempio, il dott. Marco Iosa,
per incrementare la profondità argomentativa, già precedentemente raggiunta, su
cosa si intende con robot, quindi “robota” secondo l’accezione servile,
etimologicamente derivata, del termine. Il Prof. Iosa esclude che siano da
compiersi i medesimi ragionamenti per il robot antropomorfo o meccanico in
senso stresso e il cosiddetto “robot” della domotica, ad uso comune. I robot
-ripercorrendo la riflessione dell’ospite- sono ideati per tre tipologie di
lavoro: quello sporco, quello noioso e quello pericoloso. Nel caso della
riabilitazione o, genericamente, in medicina c’è bisogno dell’adattabilità con
ciò che il paziente vuole fare o sente di poter fare, seguendo un iter ben
diverso da quello di norma percorso dalla farmacovigilanza. Si potrebbero,
quindi, delineare tre moderne leggi della robotica in campo sanitario: 1) un
robot per la neuroriabilitazione non può recare danno ad un paziente o
permettere che un paziente abbia un danno; 2) un robot deve obbedire agli
ordini impartiti dai terapeuti, purché tali ordini non contravvengano alla
Prima Legge; 3) un robot deve adattare il suo funzionamento alle abilità del
paziente in modo trasparente purché ciò non contrasti con le prime due Leggi.
Struttura inficiata dalla difficoltà del “Paradosso dell’efficacia”, ovvero
come poter beneficiare di un criterio efficacia-rischio comprovato, se la
peculiarità della robotica consiste nella particolarità specifica di ogni
paziente verso lo strumento. L’escamotage risolutivo si ha cambiando la
richiesta, chiedendosi cioè per chi è efficace (come già detto il soggetto
ansioso, se posto a scegliere tra robot e fisioterapista, opterà per il
secondo), quale paziente possiede gli strumenti per riporvi fiducia.
Riprendendo la felice espressione del Professore, «il robot è come l’invenzione
della macchina; risponde alla domanda: cosa non riesci a fare per il
paziente?», calpestiamo il limite non solo tra efficacia e rischio, ma tra
terapeutico e potenziativo, messo in evidenza dalle prestazioni compiute con
stimolazione cerebrale, elettrica o magnetica. Quale finalità e quale distinguo
fra ciò che è terapeuticamente benefico e quanto invece supplemento
migliorativo? Nell’incremento, quale sarà il limite decifrabile qualora
venissero prescritti trattamenti per sopperire a difficoltà di apprendimento o
atletiche, la gestione emotiva o traumatica in ambito militare, ecc..? Innumerevoli
esempi per un’unica macro-domanda etica: tutto ciò che è tecnicamente possibile
è anche moralmente lecito? Qui si ferma l’attenzione; si blocca pensando al
tipo di aiuto effettivo di competenza medica da proporsi come terapeutico. In
sostanza: come porsi, essenzialmente, al vero servizio della persona.
Vedi il seminario:








Nessun commento:
Posta un commento