venerdì 1 marzo 2019

Roboetica. Interazione uomo-macchina: prospettiva della disabilità - report


Report del quarto seminario del “Corso di Perfezionamento in RoboEtica”, 25 Gennaio 2019 “Interazione uomo-macchina: l’applicazione nell’ambito della disabilità”

di Giulia Bovassi. Abstract. Sollecitati dalle parole che il Santo Padre, in Humana Communitas, ha dedicato al ricordo del venticinquesimo anniversario della Pontifica Accademica per la Vita, accompagnati anche dalla realtà operativa della dottoressa Federica Ebau, siamo chiamati nuovamente in quest’altra sessione di ricerca a domandarci come conservare l’umanità entro l’innovazione tecnica, le cui spinte avvinghiano l’antropologia umana in una morsa talvolta molto stretta. 

Lo scorso 25 gennaio, il Gruppo di Ricerca in Neurobioetica, in collaborazione con la Cattedra UNESCO in Bioetica e Diritti Umani e l’Istituto Scienza e Fede, ha ospitato la dottoressa Federica Ebau, Product Specialist di Progettiamo Autonomia Robotics s.r.l., per riflettere sul ruolo della robotica nella riabilitazione, un discorso -come suggerito introduttivamente dal prof. Claudio Bonito - che sinteticamente si potrebbe definire come una conversazione sull’utilizzo responsabile dello sviluppo robotico. 

Non bisogna ignorare il fardello cumulativo di un soggetto che si lascia avvicinare da un oggetto estraneo, obsoleto fino ad indossarlo e da lì innervare una coesistenza; nessun lascito «neutrale» al ragionamento. Proprio in quanto innesto tra carne e artificio, abito esterno, esso non può prescindere da appurate indagini etiche attorno a suddetta approssimazione fra realtà pensante e realtà meccanizzata. Fare i conti con elementi di un progresso in divenire, seppur radicalmente attuale, consente di tracciare formule orientative entro le diverse forme, tra loro non di rado ambivalenti, che esso dipinge; non è accidentale l’accostamento ambivalente di euforia e timore entrambi assestati sopra la seduta scomoda del paradosso tecno-scientifico. 

Usando esattamente il termine “paradosso”, Papa Francesco, nella lettera segnalata inizialmente, incalza sull’angoscia vissuta dai popoli nell’era dell’eccellenza scientifica. Perché temere? La storia, anzi la stessa nascita della bioetica, marca l’avvertimento continuo di illuminare senza sosta l’azione dell’uomo, quindi l’agire morale, affinché possa fungere da collante imprescindibile tra gli studi specializzati e il bene vero per «la cura dell’umanità», dove si trovano contenuti i diritti fondamentali di ciascun appartenente alla specie umana, la dignità riconosciuta ai medesimi e l’impegno verso il bene comune. Subentra trasversalmente l’onere di organismi internazionali come la Cattedra UNESCO in Bioetica e Diritti Umani, la quale ha lo scopo preciso di alimentare efficacemente la solidità delle radici comuni, al fine di realizzare ciò che anche il Santo Padre ha ripreso: una «bioetica globale». Pratiche cliniche, quali l’esperienza professionale presentata dalla Dottoressa Ebau, concretizzano la teorizzazione proposta. La robotica -ambito preferenziale della relatrice- non è determinante solo per dislocate realtà multiformi nei territori nazionali e internazionali, quanto piuttosto un vero e proprio materiale d’investimento dell’epoca contemporanea, di cui tre sono gli ambiti nei quali la robotica sarà massicciamente coinvolta: militare, ospedaliero e industriale. Definire cosa sia la robotica inerpica pareti ripide, essendo vasto l’inserimento e altrettanto ampia la concezione abituale del mezzo. Nel caso interessato dal lavoro della dott.ssa Ebau, quello riabilitativo, il paziente -generalmente paraplegico- riassume un’entità clinica complessa nella condizione di appartenenza sia per gli ostacoli oggettivi, fisici, rispetto a individui normodotati, ma altresì perché questi pazienti conducono una vita per lo più attiva, famigliare, sportiva o lavorativa movimentata con ingente esigenza terapeutica- riabilitativa di combattere la sedentarietà. 

Già la precedente testimonianza di Carmine aveva fatto intuire l’importanza di enormi spinte prodotte da autostima, forza di volontà e spirito combattivo, allo stesso modo la nostra Docente conferma la carica positiva dei suoi pazienti e la centralità, nel raffronto con la macchina, di assumere la prospettiva esistenziale. «Un ragazzo in carrozzina, senza sensibilità dal busto in giù, non sente nulla. La sua percezione dello spazio è molto diversa dalla nostra; si sente come un funambolo appeso in mezzo al nulla», per questo l’impatto con l’esoscheletro e quindi l’avventura verso un cambio di dimensione, dal basso verso l’alto, costituisce un punto delicato nel vissuto relazionale ed è stato interessante, in tal senso, udire la tecnica messa in atto dalla dottoressa di proporre al paziente la propria immagine mediante uno specchio, metodo di congiunzione fra due immagini della stessa persona. Ancora una volta siamo testimoni che il conflitto reale tra artificio e umano rimanda circolarmente all’identità personale, al discorso su di sé.

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