martedì 19 novembre 2019

Agazzi: "vi sono aspetti dell'intelligenza umana che nessuna macchina riuscirà mai ad imitare"


Dall'Eco di Bergamo di oggi (p. 43): qualche estratto dell'intervista al filosofo della scienza Evandro Agazzi. 

Ormai stiamo studiando il cervello aprendo la scatola cranica, costruiamo robot con sembianze umane...
«Anche questi progressi devono risvegliare il nostro senso critico. Ho da poco tenuto una lezione sull’intelligenza artificiale in cui ho ripreso un mio vecchio articolo del 1967: fin da allora indicavo chiaramente quali sono i limiti in questo tipo di ricerche, gli aspetti dell’intelligenza umana che nessuna macchina riuscirà mai a imitare. Ad esempio quella che in filosofia si chiama “intenzionalità”: la capacità dell’uomo di introiettare il mondo sotto forma di rappresentazione. 

E mentre l’animale si può rappresentare solo il mondo fisico, l’uomo si rappresenta anche l’astratto, il possibile, il futuro, il desiderio, il bene e il male, i valori. Tutto questo non si può tradurre in “operazioni”. Questo caveat vale anche oggi, le ricerche che stiamo facendo sull’intelligenza sono importantissime ma non è il cervello che pensa, siamo noi che pensiamo grazie al fatto che, fortunatamente, abbiamo un cervello evoluto. 
I robot che imitano il nostro comportamento, anche quello emotivo, “affettivo” resteranno sempre al livello di macchine. L’idea che questi automi possano essere ciò che ci sostituirà è una sciocchezza. Eppure queste parole d’ordine stanno prendendo piede».

Nei giorni scorsi proprio qui a Bergamo, al convegno Città Impresa Federico Faggin, l’italiano inventore (in America) dei chip che fanno funzionare tutti i nostri sistemi informatici, ha detto con chiarezza la stessa cosa: per quanto affascinante, l’evoluzione dell’intelligenza artificiale non avrà mai a che vedere con l’intelligenza umana.
«Una cosa deve essere chiarissima: l’intelligenza artificiale è un problema di ingegneria. Gli avanzamenti dell’intelligenza artificiale si ottengono con progressi di calcolo, di cibernetica, di scienza dell’informazione, non approfondendo la conoscenza della nostra psiche. La macchina attraverso i suoi algoritmi fa, in un piccolo campo, mille volte meglio di quello che riusciamo a fare noi. Ma questo non ha niente a che vedere con la natura della nostra attività anche solo di percezione».

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