mercoledì 27 novembre 2019

La morte cerebrale è l'autentico segno clinico dell'avvenuta morte della persona umana - 1


Redazione N&N (Neuroscienze e Neuroetica). Oggigiorno, nonostante il vasto consenso degli specialisti in ambito di neuroscienze, neurochirurgia, neurologia, anestesiologia (tra le altre specializzazioni dell’arte medica), per ciò che attiene i “criteri di determinazione della morte cerebrale”, nonostante questo, permane nell'opinione pubblica un senso di confusione e di incertezza. A volte, l’incomprensione, che sfortunatamente può convertirsi in forme di fondamentalismo e di radicalismo intolleranti ed anti-scientifiche, tale incomprensione viene alimentata da intellettuali che si prestano a seminare ambigue, a volte false e fuorvianti, affermazioni che non corrispondono alla realtà dei fatti.

Per contribuire ad una maggior chiarezza, abbiamo chiesto al nostro Direttore, il Prof. P. Alberto Carrara, Membro della Pontificia Accademia per la Vita, Direttore del Gruppo di Ricerca in Neurobioetica dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum di Roma, Docente di Neuroetica della Facoltà di Psicologia dell’Università Europea di Roma e Fellow della Cattedra UNESCO in Bioetica e Diritti Umani, di rispondere ad alcune brevi domande.

Professor Carrara, Michael A. De Georgia, neurologo di fama internazionale nel suo articolo del 2014 sulla “Storia della morte cerebrale quale morte: dal 1968 ad oggi” affermava che nonostante il consenso clinico in materia permaneva molta confusione nei cittadini a livello globale. Oggi, come si potrebbe inquadrare il contesto della cosiddetta “morte cerebrale”?

Il Professor De Georgia [1] aveva colto nel segno e ha cercato di contribuire, lui come molti altri seri clinici nel mondo, alla chiarezza

Vede, oggigiorno viviamo in un contesto culturale paradossale: da una parte, molti uomini e donne del nostro tempo manifestano una fede senza condizioni (senza se e senza ma) nei confronti della scienza empirica, quella sviluppatasi e diffusasi in Occidente a partire dal secolo XVI. Molti sposano quello che Papa Francesco nella Laudato si' (terza parte) ha chiamato il "paradigma tecnocratico". 

Dall’altro canto, spesso queste stesse persone, in determinate situazioni della vita, a volte difficili e drammatiche, come può essere la malattia terminale di un familiare, possono arrivare ad affidarsi alle proposte più irrazionali ed anti-scientifiche che oggi pullulano tra noi. Un esempio, recentemente la Rai e il Corriere della Sera nel suo inserto Salute, ma a più riprese il nostro Gruppo di Ricerca in Neurobioetica dal 2017, si sono interessati della cosiddetta crionica e delle proposte inquietanti che alcuni da questa tecnica hanno derivato, come la pseudo-speranza di poter crioconservare i propri cari defunti o in fin di vita trattandoli con delle sostanze e conservandoli a -190 gradi in azoto liquido sino a che “la scienza non avrà trovato il modo di riportarli in vita” cioè di “rianimarli”. Un’assurdità anti-scientifica tale che non varrebbe di essere commentata, proprio perché non corrisponde al pensiero scientifico. Non corrisponde in primo luogo perché non è una visione umana ed umanizzante, perché considera una visione dell’essere umano (cioè un’antropologia) in antitesi alle conoscenze relative allo sviluppo, struttura e funzione del nostro sistema nervoso. Non corrisponde alla visione neurobioetica. Non parliamo delle “battaglie NO VAX”, ma anch'esse rientrano, come tante altre manipolazioni, in questo contesto di crisi della verità e dell’oggettività in ambito anche scientifico e neuroscientifico.
All'interno di questo scenario paradossale perseverano quanti, sventolando a volte la bandiera dell’arte medica, si ostinano a negare la scientificità del consenso sui cosiddetti criteri per determinare clinicamente la morte cerebrale e, filosoficamente, da essa, stabilire la già avvenuta morte del paziente.  

Professore Quali fatti empirici riscontrabili nel paziente cerebralmente morto mostrano, a suo parere, che la morte cerebrale implica la morte in senso metafisico della persona? 

L’apparente dibattito contemporaneo relativo alle modalità di accertamento clinico della morte in soggetti affetti da lesioni encefaliche e sottoposti a trattamento rianimatorio ha bisogno ancora di chiarezza.
In molti consideriamo questo tema universalmente risolto, almeno sul piano dell’arte medica. 
Invece, sembra diffondersi negli ultimi anni una sensazione di incertezza e, in alcuni contesti, persino di diffidenza nei confronti di medici anestesisti rianimatori e neurologi che con professionalità e competenza svolgono in tutto il mondo un servizio importante che spesso li conduce a esercitare spinosi giudizi che comportano un carico umano e morale non indifferente[2].
Vorrei esprimere la mia vicinanza e il mio ringraziamento a tutti i medici e gli operatori sanitari che nel mondo si sforzano con le loro conoscenze per praticare i contenuti del giuramento di Ippocrate: “regolerò il tenore di vita per il bene dei malati secondo le mie forze e il mio giudizio; mi asterrò nel recare danno e offesa”.
Con piacere rispondo a queste domande al fine di contribuire, nel mio piccolo, ad un po' di chiarezza.

La prima domanda introduce, in maniera opportuna, una distinzione importante che, per motivi di spazio non potrò sviluppare come meriterebbe, ma che sintetizzo nel suo nucleo essenziale: la morte, antropologicamente parlando, è sempre la morte della persona umana, di quell'unità “anfibia”, come ama definirla il filosofo italiano Vittorio Possenti, unità bi-polare della dimensione immateriale-spirituale, l’anima, e quella materiale-deperibile, il corpo. Secondo un’antichissima tradizione filosofica, l’anima è il principio di vita del vivente, quel principio metafisico portatore dell’atto d’essere che informa e conforma la materia e la rende tale, nel nostro caso, “umana” e di “quest’uomo” o “questa donna” concreti. La morte cosiddetta “metafisica” è la separazione del principio vitale, l’anima, dal composto, con la conseguenza della rottura dell’unità del vivente e la morte della persona umana concreta. L’anima umana, per essere “razionale”, cioè immateriale e spirituale, sussiste anche dopo tale “rottura” che risulta intrinsecamente “innaturale” alla stessa natura umana. Ora, premesso che nessuno strumento empirico è, e sarà mai, in grado di “visualizzare” una tale separazione di “principi” metafisici, proprio per l’incompatibilità di metodi rispetto agli oggetti in analisi (è contraddittorio voler “misurare” con il metodo empirico ciò che materiale non è, come voler applicare un metodo metafisico a misure empiriche: siamo su piano diversi, che non significa incompatibili!), esistono delle evidenze, cioè delle manifestazioni che possono segnalare l’avvenuta “rottura” e separazione del principio vitale. Tale principio, l’anima umana, presiede all'organizzazione armonica e alla strutturazione organica del tutto corporeo che perciò è vitale e vitale-umano e di quest’uomo o di questa donna in concreto.

Studiando la storia del pensiero e della medicina (in particolare delle neuroscienze), si scopre che, prima della cosiddetta teoria cardio-centrica attribuita ad Aristotele, Alcmeone di Crotone (fine VI sec. a.C.), attraverso l’osservazione dello sviluppo embrionario dei polli, postulò la teoria cerebro-centrica: è il sistema nervoso il primo nel formarsi e nello strutturarsi, permettendo quelle basi organiche che supportano tutte le funzioni del vivente.

Esistono dei dati clinici oggettivi e misurabili che, una volta accertati, forniscono all'interno di un quadro sistemico, una ragionevole certezza, sottolineo “clinica”, che il paziente concreto con danni cerebrali e sottoposto a trattamento rianimatorio manifesta le condizioni (requisiti) per l’accertamento della morte. Come ben hanno riportato i clinici del Dipartimento di Anestesiologia della Mayo Clinic nel loro report nel 2014 pubblicato dalla American Academy of Neurology: dopo oltre tre decadi di dibattiti medici e sociali sul tema, a livello mondiale non esiste alcun dubbio o disaccordo sul fatto che la “morte cerebrale” sia uno stato clinico neurologico distinto e diverso da tutte le altre manifestazioni di coma acuto o prolungato; inoltre, il giudizio medico a livello globale del personale di neuro-rianimazione, dei neurologi, dei neurochirurghi e delle rispettive società mondiali di neurologia, neurochirurgia e rianimazione, considerano unanimemente che la morte cerebrale costituisce la morte della persona umana, perché ne è il segno e la manifestazione [1]. Allora, con queste premesse si può comprendere come è la morte metafisica della persona che implica, quale sua conseguenza, la morte cerebrale.

Nel contesto italiano, i testi legislativi sono sostanzialmente tre, in ordine temporale: (1) la legge n. 578 del 29 dicembre del 1993; (2) il Decreto del Ministro della Salute n. 582 del 22 agosto 1994 e (3) l’aggiornamento di quest’ultimo con il Decreto del Ministro della Salute n. 136 dell’11 aprile 2008 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 12 giugno 2008). Quest’ultimo testo intitolato “Regolamento recante le modalità per l’accertamento e la certificazione di morte” [2], all'articolo 2 prende in considerazione in modo chiaro i “requisiti clinico-strumentali per l’accertamento della morte nei soggetti affetti da lesioni encefaliche e sottoposti a trattamento rianimatorio” ed esplicita il criterio di fondo: l’esistenza di un caso di morte (escludendo l’arresto cardiaco, art. 1) di questi pazienti viene accertato per la “cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo”. 
Tali condizioni o premesse al successivo accertamento sono: a) assenza dello stato di vigilanza e di coscienza, dei riflessi del tronco encefalico e del respiro spontaneo; b) assenza di attività elettrica cerebrale; c) assenza di flusso ematico encefalico, nelle situazioni particolari previste al comma 2. L’iter diagnostico deve comprendere la certezza della diagnosi eziopatogenetica della lesione encefalica e l’assenza di alterazioni dell’omeostasi termica, cardiocircolatoria, respiratoria, endocrinometabolica, di grado tale da interferire sul quadro clinico-strumentale complessivo. Il comma 2c è significativo: “è prevista l’esecuzione di indagini atte ad escludere l’esistenza di flusso ematico encefalico nelle sotto elencate situazioni particolari: c) situazioni cliniche che non consentono una diagnosi eziopatogenetica certa o che impediscono l’esecuzione dei riflessi del tronco encefalico, del test di apnea o la registrazione dell'attività elettrica cerebrale.

A questo punto, date queste premesse, l’articolo 3, comma 1, stabilisce con chiarezza che i soggetti in tali condizioni “la morte è accertata quando sia riscontrata, per il periodo di osservazione previsto dall’art. 4, la contemporanea presenza delle seguenti condizioni: a) assenza dello stato di vigilanza e di coscienza; b) assenza dei riflessi del tronco encefalico: riflesso fotomotore, riflesso corneale, reazioni a stimoli dolorifici portati nel territorio d'innervazione del trigemino, risposta motoria nel territorio del facciale allo stimolo doloroso ovunque applicato, riflesso oculo vestibolare, riflesso faringeo, riflesso carenale; c) assenza di respiro spontaneo con valori documentati di CO2 arteriosa non inferiore a 60 mmHg e pH ematico non superiore a 7,40, in assenza di ventilazione artificiale; d) assenza di attività elettrica cerebrale, documentata da EEG eseguito secondo le modalità tecniche riportate nell’allegato 1 al presente decreto, di cui costituisce parte integrante; e) assenza di flusso ematico encefalico preventivamente documentata nelle situazioni particolari previste dall'art. 2, comma 2”. 
Queste evidenze cliniche sono sufficienti per avere la certezza che quello che all'inizio del processo diagnostico era il paziente, ora già non lo è più e ci troviamo dinnanzi al cadavere, cioè al corpo in morte cerebrale (brain death body). Alcuni autori parlano in modo erroneo di “brain death patient” e alcuni persino affermano che sarebbe “ancora senziente” (the brain death patient is still sentient). Tali affermazioni, oltre a non avere alcun riscontro scientifico, sono clinicamente errate. In effetti, come afferma il comma 2 dell’articolo 3: “l’attività di origine spinale, spontanea o provocata, non ha alcuna rilevanza ai fini dell’accertamento della morte, essendo compatibile con la condizione di cessazione irreversibile di tutte le funzioni encefaliche”.

L’articolo 4 relativo alle tempistiche di osservazione stabilisce criteri oggettivi in-equivoci: 1. Ai fini dell’accertamento della morte la durata del periodo di osservazione deve essere non inferiore a 6 ore; 2. In tutti i casi di danno cerebrale anossico il periodo di osservazione non può iniziare prima di 24 ore dal momento dell’insulto anossico, ad eccezione del caso in cui sia stata evidenziata l’assenza del flusso ematico encefalico. In tale condizione, il periodo di osservazione può iniziare anche prima di 24 ore dal momento dell’insulto anossico, di seguito alla documentazione dell’assenza del flusso ematico encefalico; 3. La simultaneità delle condizioni necessarie ai fini dell’accertamento deve essere rilevata dal collegio medico per almeno due volte, all'inizio e alla fine del periodo di osservazione. La verifica di assenza di flusso non va ripetuta; infine, 4. Il momento della morte coincide con l’inizio dell’esistenza simultanea delle condizioni di cui all’art. 3, comma 1”. Attenzione a quest’ultimo punto: stiamo parlando della morte clinica non metafisica! Il momento della morte metafisica non lo posso “vedere” in nessun modo, mentre il momento della morte clinica mi fornisce la certezza che la morte metafisica è già avvenuta.

Si comprende a questo punto, spero, come San Giovanni Paolo II nel suo emblematico discorso al 18° Congresso Internazionaledella Società dei Trapianti del 29 agosto 2000 al numero 5 abbia affermato che: 

“in questa prospettiva, si può affermare che il recente criterio di accertamento della morte sopra menzionato, cioè la cessazione totale ed irreversibile di ogni attività encefalica, se applicato scrupolosamente, non appare in contrasto con gli elementi essenziali di una corretta concezione antropologica. Di conseguenza, l’operatore sanitario, che abbia la responsabilità professionale di un tale accertamento, può basarsi su di essi per raggiungere, caso per caso, quel grado di sicurezza nel giudizio etico che la dottrina morale qualifica col termine di ‘certezza morale’, certezza necessaria e sufficiente per poter agire in maniera eticamente corretta. Solo in presenza di tale certezza sarà, pertanto, moralmente legittimo attivare le necessarie procedure tecniche per arrivare all'espianto degli organi da trapiantare, previo consenso informato del donatore o dei suoi legittimi rappresentanti”. 

Con quanto messo in luce sino a questo punto, nessun professionista serio in ambito neurologico, rianimatorio, neurochirurgico e anestesiologico, oggigiorno mette in dubbio tale grado di “certezza” clinica.

Continua...


[1] C. M. Burkle, R. R. Sharp, E. F. Wijdicks, Why brain death is considered death and why there should be no confusion, Neurology 83, 2014, 1464-1469.


[1] De Georgia MA. History of brain death as death: 1968 to the present. J Crit Care. 2014 Aug;29(4):673-8. doi: 10.1016/j.jcrc.2014.04.015. Epub 2014 Apr 26. Abstract. The concept of brain death was formulated in 1968 in the landmark report A Definition of Irreversible Coma. While brain death has been widely accepted as a determination of death throughout the world, many of the controversies that surround it have not been settled. Some may be rooted in a misconstruction about the history of brain death. The concept evolved as a result of the convergence of several parallel developments in the second half of the 20th century including advances in resuscitation and critical care, research into the underlying physiology of consciousness, and growing concerns about technology, medical futility, and the ethics of end of life care. Organ transplantation also developed in parallel, and though it clearly benefited from a new definition of death, it was not a principal driving force in its creation. Since 1968, the concept of brain death has been extensively analyzed, debated, and reworked. Still there remains much misunderstanding and confusion, especially in the general public. In this comprehensive review, I will trace the evolution of the definition of brain death as death from 1968 to the present, providing background, history and context.
[2] Si potrebbero leggere con tristezza titoli ed articoli di prestigiosi intellettuali. Ad esempio, il portale degli “Universitari per la vita” in Italia ha ospitato soltanto voci estremiste e fondamentaliste in materia, escludendo deliberatamente dal confronto le numerosissime posizioni che rappresentano il consenso medico-scientifico in materia: https://universitariperlavita.org/category/morte-cerebrale/

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